Tumore al seno, dove va la ricerca contro il «big killer» delle donne

Un’italiana su 8 si ammalerà nel corso della vita: quasi 9 su 10 guariscono, ma resta il cancro più diffuso nel nostro Paese. Esperti riuniti in Friuli per fare il punto su nuove cure, centri di senologia specializzati, biopsia liquida e chirurgia sempre meno invasiva

Una donna su otto in Italia si ammalerà di cancro al seno nel corso della vita. Con 53.500 casi diagnosticati nel 2019, quello alla mammella è il tumore più diffuso non solo fra le femmine ma nell’intera popolazione. E nonostante i molti progressi fatti (fortunatamente l’89 per cento delle pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi), resta la prima causa di morte per neoplasia fra le italiane. «Sempre più donne riescono a sconfiggere la neoplasia e anche quando si presentano metastasi abbiamo oggi molte terapie differenti a disposizione che ci consentono di proseguire le cure per anni, con una buona qualità di vita delle pazienti – sottolinea Fabio Puglisi, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica al Centro di riferimento Oncologico di Aviano e responsabile scientifico del convegno nazionale «Focus sul Carcinoma Mammario», organizzato a Pordenone -. Grazie alla ricerca scientifica si stanno ottenendo risultati importanti nell’individuazione di strumenti diagnostici e terapeutici più precisi ed efficaci».

Reti oncologiche e Breast Unit per gestire al meglio le pazienti

Numerose indagini hanno dimostrato che nelle Breast Unit (centri di senologia che trattano almeno 150 casi all’anno e sono presenti una serie di parametri ben definiti a livello internazionale) si vive di più perché viene garantito un approccio multidisciplinare: la formazione di un team coordinato favorisce il raggiungimento di un alto livello di specializzazione delle cure, dallo screening fino alla riabilitazione, ottimizzando qualità e tempistica delle prestazioni, con l’obiettivo principale di prolungare e migliorare la vita delle pazienti. «Il carcinoma mammario interessa in totale 800mila donne in Italia – prosegue Puglisi -. Nella nostra Regione riusciamo a garantire un ottimo livello d’assistenza, nonché un accesso capillare ai trattamenti innovativi. È
recente, inoltre, l’approvazione della Delibera della Giunta Regionale sulla Rete Oncologica del Friuli Venezia Giulia. Siamo agli albori di un nuovo assetto organizzativo, indispensabile per garantire un proficuo confronto tra i professionisti coinvolti nei percorsi di diagnosi e cura della patologia oncologica. Fra gli altri obiettivi, c’è l’intenzione di adottare programmi di ricerca condivisi e inseriti nel contesto dei bisogni clinici propri del territorio».

Biopsia liquida per capire meglio (e in fretta) come evolve il tumore

Per due giorni Pordenone ospita oltre 300 tra i più importanti specialisti provenienti da tutta Italia e una sessione del convegno è dedicata alle grandi opportunità offerte dalla biopsia liquida, una metodica promettente che già ora serve per monitorare l’evoluzione della malattia e adeguare le cure e che gli scienziati sperano potrà aiutare in futuro ad avere diagnosi sempre più precoci. «Attraverso un semplice esame del sangue possiamo individuare le cellule tumorali e il Dna tumorale circolanti – prosegue Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Senologia e Toraco-Polmonare dell’Istituto Tumori di Napoli -. Sono informazioni indispensabili che ci permettono di capire quali potranno essere i mutamenti biologici del cancro. Con le biopsie tradizionali, svolte sui tessuti, abbiamo solo una semplice fotografia momentanea dello stato della malattia. Ora invece si definiscono in modo più preciso i target terapeutici ed è possibile prevedere un utilizzo più accurato e personalizzato dei trattamenti disponibili. Il monitoraggio dell’evoluzione della malattia ha come obiettivo anche la diagnosi precoce di un’eventuale recidiva».

Cure pre-operatorie per una chirurgia meno invasiva

«La ricerca si sta concentrando soprattutto nella cura degli stadi precoci del carcinoma mammario – sottolinea Lucia Del Mastro, coordinatrice della Breast Unit dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova -. Le terapie tendono ad essere sempre più spesso neo-adiuvanti e quindi somministrate nella fase pre-operatoria per ottenere un trattamento chirurgico conservativo e meno invasivo. L’obiettivo è risparmiare l’asportazione dei linfonodi dell’ascella e ridurre comorbilità e complicanze, prima fra tutte il linfedema del braccio. Sono soprattutto due le tipologie di cure dove di recente abbiamo assistito alle principali innovazioni – continua Del Mastro -. La prima riguarda i carcinomi HER2-positivi per i quali è disponibile il farmaco immunoconiugato TDM-1. Viene utilizzato quando la chemioterapia, combinata con farmaci anti-HER2 tradizionali, non è in grado di eradicare totalmente la malattia presente a livello mammario o linfonodale. La seconda riguarda invece i tumori triplo negativi che attualmente presentano le prognosi peggiori. La novità è rappresentata dall’immunoterapia che sta dando dei risultati interessanti proprio in questo sottogruppo di casi particolarmente aggressivi. Sono allo studio nuovi trattamenti in grado di riattivare il nostro sistema immunitario contro il tumore. I farmaci immunoterapici combinati con la chemioterapia sembrano aumentare la probabilità di ottenere la remissione completa della malattia»